Lettera. A cuore aperto.

Cara mamma,
a volte per migliorare bisogna aprire il cuore, e a volte, quest’operazione può far male. Ho usato il bisturi più affilato che avevo, nessuna anestesia, neanche una flebo di morfina… sono entrata in sala operatoria con il mio camice, quello di chi ha un’esigenza da sfogare e, semplicemente – egoisticamente – ho iniziato a tagliare e aprire. Mi sono fatta forte degli infermieri che erano lì attorno al tavolo, del loro essere testimoni, e non mi sono chiesta nulla, ho solo operato. Sono stata egoista, vigliacca nel non voler affrontare solo con te i sintomi (ma in mezzo agli altri ci si sente più forti), sono stata il peggio della figlia che è dentro di me. E me ne vergogno. I tuoi occhi pieni di lacrime sono state il primo specchio della mia frustrazione, del mio essere erroneamente partita per la guerra senza neanche chiedermi se dall’altra parte avessi o meno un nemico. E quello specchio, una volta infranto, mi ha tagliuzzato il cuore in tanti, minuscoli, infinitesimali brandelli. So che non è andata come speravi o immaginavi, ma questa ferita che ti ho inferto e che di conseguenza, carne della tua carne, ho inferto a me stessa voglio bruci. Faccia male tutto il tempo che avrà bisogno di guarire. E spero che una volta rimarginata, quando l’odore di disinfettante non pungerà più il naso e anche l’ultimo camice sarà finito a lavare, la cicatrice mi ricordi ogni giorno che siamo migliorate, più vicine, più noi. Oltre la mamma, oltre la figlia, oltre tutti i sentimenti del mondo, ti voglio bene. Come non mai.

… quando i sogni si realizzano c’è solo una parola per. PER.

Lo so, è un sacco di tempo che non mi faccio leggere. Non perché nel frattempo non sia accaduto qualcosa di importante nella mia vita, anzi, semmai il contrario. E quando tutto, dopo impegno, dedizione e tempo rubato ai giorni e alle notti, prende la giusta piega ecco che come sempre la vita ti offre un segnale inequivocabile.
Per alcuni è una stella cadente, per altri un senso di leggerezza, per altri ancora una nuvoletta nel cielo a forma di bistecca.
Io lo chiamo UNICORNO. (Che poi non ha niente da invidiare alla cirro-cotoletta direi).

E’ successo tutto così.
Mentre gli astri mi stavano coccolando, l’entusiasmo ritrovato sorprendendo e la nuova me affascinando,
ecco che in una grigissima giornata milanese, mi è apparso – modello epifania – il mio animale preferito.
E lo ha fatto in una nuova e impensabile forma: l’unicorno da dita.

Dire che me ne sono innamorata al primo istante è piuttosto obsoleto, dire che ho già inserito tutti i numeri della mia carta di credito assolutamente banale, pensare al primo giorno di sole in cui porterò a spasso il mio unicorno per verdi parchi suppongo stuzzicante (almeno alle mie sinapsi).

Cosa succederà.
Lo farò correre, brucare, saltarellare per fili d’erba e boccioli in fiore, saremo solo io e lui, cavalcheremo l’avvento della primavera come solo un cavaliere con la sua fiera bestia sa fare.

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Non ho idea se quel giorno ci sarà un arcobaleno vero oppure no, ma già so che il mio cuoricino si è appena auto-dipinto di sette colori e che le mie dita fremono al pensiero di essere infilate in quelle sue morbide zampette senza zoccoli. Liberi di cavalcare andremo oltre l’inimmaginabile, finché i tendini della mano ce la faranno a sopportare la fatica, finché le unghie non si smolleranno tra il sudore noi galopperemo insieme nel mondo reale.

… e se ancora non ci sentiremo svenire, in quello della fantasia anche.

Rimini Rimini Rimini

Prendi quattro amiche più una, falle sedere su un treno che porta fino a Rimini, dai loro da mangiare verdure gratinate, piadine e cassoni e avrai miracolosamente la formula della felicità applicata. E’ vero che per goderci questo assolato weekend abbiamo aspettato quasi due mesi e  l’attesa amplifica il piacere, ma mai avremmo immaginato potesse andare proprio così com’è andata: una favola. Complici di certo un mare di amici amicizia, granelli di stima modello sahara, un secchiello di mojito senza paletta e una domanda che rimarrà negli annali – “quanto lo hai preso?” – l’esperienza è da ripetere al più presto. Rimini stiamo tornando!

E mentre si aspetta venga il giorno, ecco qui una cartolina vacanziera. Perché  i classici “baci da Rimini” non si sono mai negati a nessuno.

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Hai un pupo? Usalo.

Hai deciso di riprodurti e adesso hai un pupo che ti gironzola per casa gattonando ovunque? Non hai più un secondo libero, sei più stanca del vincitore dell’ultima maratona di New York e mentre pulisci schizzi di pappa dai mobili della cucina l’occhio ti cade sullo strato di polvere che nei giorni in cui tu non dormivi si è depositato sul pavimento rendendolo peloso come un abissino lepre? Bene, ho trovato quello che ti serve Mamma! Non ti cambierà la vita (te la sei già cambiata da sola direi), non ti ridarà il sonno perduto e non ti renderà nemmeno più facile perdere i chili post gravidanza, ma… in previsione della tua Festa, puoi pensare di farti regalare o regalarti un qualcosa di prezioso quanto utile.

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Un altro bimbo? Non penso proprio. Meglio lui, o lei: la tutina swifferosa!

Lui/lei gattona, il gatto abissino che riveste il tuo pavimento viene attirato dai pirulli elettrostatici e va a fare le fusa da un’altra parte. Geniale vero?

Certo, dovrete educare il vostro pupattolo a muoversi bene negli angoli, passare sotto i mobili (ma ha le dimensioni giuste per farlo) e raggiungere gli anfratti più reconditi della vostra abitazione, ma… quanto avrà imparato, sarà meglio di un robot aspirapolvere!

Sperate però che non cresca troppo in fretta, il Baby Mop che potete comprare qui  – http://www.firebox.com/product/6533/Baby-Mop?via=whatsnew – ha taglie che arrivano solo fino ai 12 mesi. Ovviamente quando faranno la versione per adulti (penso al vostro compagno, lo avete fatto anche voi, vero?!) sarete le prime a saperlo. Convincerlo  ad indossare la tutona sarà semplicissimo: fatelo sentire come un guerriero nella giungla che per evitare il fuoco nemico deve aggirarsi a passo del leopardo e il gioco sarà fatto. Perché anche se diventano prima ragazzi, poi adulti e poi anziani, restano comunque dei bambini alti a cui piace giocare alla guerra! Quindi, trasformate la loro debolezza nella vostra forza e via di Marito Mop!

Comunque, torniamo al Baby Mop e alle sue dimensioni ridotte. Dicevamo, tre taglie: 3-6 mesi, 6-9 mesi, 9-12 mesi. Puro cotone al 100% e in un nano secondo il tuo pupo sarà una macchina del pulito!

Ovviamente se avete dei gemelli, dei nipotini o avete trasformato la vostra casa in un kindergarden per i bambini della palazzina, potete anche iniziare a pensare ad estendere il business. Immaginati nelle vesti del capo e di avere al tuo servizio una squadra di macchine per il pulito, puoi. Scusate, Fastweb ha avuto un attimo il sopravvento sulla linearità delle sinapsi. Ma proseguiamo: i vostri pupi si divertono, si rendono utili (macinare pappa in merda non è di nessuna utilità) e voi potete finalmente pensare ad una cosa in meno. Il tutto poi, non richiede attenzioni particolari se non in caso di presenza di scale o di memoria labile: è pur sempre il vostro pupo, non buttatelo nel cestello della lavatrice insieme agli strofinacci insomma!!! Resistete anche alla tentazione di accelerare il lavoro mettendo il bastone della scopa dove sapete e per nessun motivo, e dico nessuno, prendete il pupo in braccio colte da cuore tenerello: vi trasformerà in un gatto abissino! Precauzioni a parte, 36 euro e 50 centesimi saranno i soldi meglio spesi nella vostra vita. Già, perché con Baby Mop tornerete ad averne una! E anche se oggi tutto questo non vi sembra possibile, fidatevi, lo sarà.

C’è solo una cosa che  mi dispiace in tutto questo, aver scoperto la geniale invenzione adesso.

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Sarebbe stato un regalo perfetto, sublime, adorato per la mia amica Mu che ha fatto un pupo chiamato Leone ma – uff – adesso è troppo grande per pulirle casa! Mi dispiace Mu, sarà per il prossimo! E poi, guardate che muso?! Non sentitevi in colpa, in realtà è lui che te lo chiede!

 

Che Gioia il Pranzo dei Gioia.

 

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Ebbene sì, anche io domani farò la milanesina bon ton che il weekend si concede rilassanti, divertenti e ovviamente narrabili (altrimenti perché lo fai?!) gite fuori porta. Treno prenotato con larghissimo anticipo, outfit assolutamente non ancora deciso, ma non senza ragioni. Per la meta invece ho scelto un classico: Bozen. Quindi domani, bella fresca, salterò sulla mia freccia di qualche colore e mi farò portare fino a destinazione finale. Obiettivo: il pranzo della famiglia Gioia (il cognome da nubile di mia nonna, peccato solo non fossero ancora maturi i tempi per appiccicarmelo dietro al nome. Pensate che bello Giorgia Gioia, Gioia Giorgia… va beh, anche se non all’anagrafe, ho sempre un po’ di Gioia nel cuore e mi accontento!).

Dicevamo, l’occasione è imperdibile. Considerato che l’ultimo pranzo di questo tipo a cui ho presenziato risale a 30 anni fa, è proprio l’ora di farsi vedere. In effetti avrei avuto delle altre occasioni in futuro (forse) ma ho dovuto scegliere: oggi nel massimo del mio splendore o fra trent’anni con il deambulatore? Ho optato per la prima, avreste fatto lo stesso.

Ci saranno più o meno un centinaio di gioie, un menù che ho sbirciato – e non è male – e io con la mia occasione di outfit mancato. Già, perché nell’unica foto ricordo dell’84 (come lo stock) indossavo: A. un’ampia gonna al ginocchio a strisce diagonali bianche e verdi, B. una camicetta con le spalline verdi, C. un dito nel naso (quello destro). Non sarà un capo di abbigliamento, ma di sicuro è un accessorio!

Detto questo, l’idea iniziale, e romanticissima come solo io, consisteva nel presentarsi al pranzo “30 anni dopo” vestita allo stesso modo, della mia taglia attuale ovviamente. Nulla di fatto però, mettici il poco tempo che il lavoro ti lascia, l’assenza di un sarto fidato, del tessuto adatto e un paio di altre omissioni… e ad oggi non so proprio cosa indossare. Certamente la foto ricordo 2014 la farò con il dito (destro) nel naso, ma in merito al vestito non ho proprio idea. Nuda? In tuta? … o un salto da Zara altoatesino mi salverà?

Nell’attesa di capire – anzi meglio – di vestire, mi godo il trascorrere del tempo pensando solo alle 11.35 di sabato mattina, al mio treno, al mio dito e al mio pranzo di gioia.

 

Ellevati scritto tutto attaccato.

Lo hai bloccato. Inutile. Lo hai cancellato da tutti i social. Vano. Hai fatto uno sforzo immenso per non pensare più a lui. Eppure…

Già perché arriva l’amico dell’amico dell’amico del nonno del fratello di quello zio lontano che sta in casa di riposo e ha conosciuto una rumena che l’ha poi sposato, che pubblica le tue parole mielose, un “grazie mamma” accompagnato da un diabetico “scusa se non sono più tornato”.

Eh?!ç#@&ç#°

A tua madre chiedi scusa scemo di guerra che non sei altro???

Mi hai fatto piangere migliaia di lacrime che la Sicilia ci irrigava i campi per almeno sedici anni, mi hai fatto perdere così tanti chili che ho dovuto spendere un patrimonio all’Esselunga per riprendermeli (ed ero così incazzata che non ho neanche fatto la raccolta punti per le pentole Alessi) e come se non bastasse mi sono svenata dalla psycho killer perché altrimenti mi sarei trasformata in una serial killer io e tu che fai? Sbuchi dal nulla in un freddo pomeriggio di febbraio con tanto di foto in spiaggia, vicino alle casette di legno tutte colorate, con amici e bambini belli?

Sai che c’è?!?

C’è che ogni volta penso di averti messo una pietra sopra e ogni volta riscopro la voglia di mettertela per davvero. Un bel masso, una lapide di marmo scadente con scritto sopra niente. Non anonima, proprio con scritto niente. Grrrr che rabbia leonina. Che fastidio il potere che il vederti anche solo per un pezzettino e pure sfocato ha su di me. Il mio cuor non batte più per il tuo, da mo’, ma vorrei abbatterti con una mazza da golf! Questo sì. Ti colpirei sul grugno, per darti finalmente quella centra in piena faccia che ti ho promesso quando mi hai liquidata bella bella da ventiduemila chilometri di distanza con un banale “ho smesso”.

E in quel periodo non ero neanche bionda.

Non ti mettere le dita nel naso, perché io ti vedo!

Ecco, uno pensa che nel buio della notte sia finalmente libero di fare ciò che vuole, il che contempla ovviamente anche la pratica di infilarsi gli indici, i medi, gli anulari e mignoli nel naso in santa pace, quando, scorrazzando in Facebook, si trova davanti ad una nuova e dura realtà: lo smalto fosforescente che, neanche a dirlo, si vede al buio!

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Beh, sapete che vi dico?! Se volete mantenere l’infilarsi le dita nel naso un tabù, be’ fate pure, io non mi piego a questa etica della pulizia dettata da… da chi? La buona educazione? Ma fatemi un piacere, e iniziate a contare quanti nonnini vivono il privilegio sui mezzi pubblici di vedere le chiappe fresche e toniche di qualche giovanotto alzarsi per far sedere le loro!

Comunque, tornando a storie di dita e narici –  ma perché non possono vivere semplicemente felici e contenti come nelle favole? – questo nuovo smalto, complice attivo della diffusione di quella forma d’arte chiamata Nail Art che ormai impazza ovunque tra TV (maledetto Real Time), Coreane (da Tong Tong qui a Milano i tempi di asciugatura si aggirano attorno ai 60 minuti), e perline diamantini glitter che trovi anche all’Esselunga, non è altro che un nuovo monito alla libertà, una nuova dittatura, il voler perpetrare un tabù.

Pensateci, Arale si metteva allegramente le dita nel naso per poi mostrare le caccoline a Gupi Gupi, la stessa me da piccola adorava scalare le vette fino alle adenoidi mentre mio padre ripeteva come un disco rotto una delle peggiori battutine del suo repertorio “quando arrivi in cima – e ovviamente si riferiva al mio indice – manda una cartolina!” e non esiste bambino del  globo che non abbia vissuto almeno una volta il proprio naso come un regno incantato nel quale avventurarsi. Cosa vi dice questo? Tutta questa diffusione non rende la pratica almeno un po’ normale?!

Ma se lo è,  perché il mercato ci propone addirittura lo smalto che ti sgama mentre lo fai nel buio della notte?

Mumble mumble… magari me la sono presa troppo a cuore questa cosa delle narici, e se lo smalto fosse stato creato invece per rendere più visibili gli insulti lanciati dopo le 22.00? O magari per rendere più futuristici gli atti masturbatori? O ancora per trovare sempre la toppa della porta di casa?

Considerandolo sotto questa nuova luce (sembra quasi una barzelletta), potrebbe essere anche un prodotto più o meno interessante, immagino. Ma, sinceramente, il fatto che esista mi mette a disagio. Non perché sia un altro desiderio che il mondo civilizzato si accolla, ma perché nasconde un più subdolo divieto, che per di più si estende in quel mondo privato che è la notte: Non ti mettere le dita nel naso, perché io ti vedo!

Io, il super-io anti caccola. Io, il super-io anti maleducazione. Io, il solito super-io censore.

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